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Sul Colle di Roccaravindola, la presenza di insediamenti umani si perde nella notte dei tempi. Certamente in epoca pre-romana, la roccaforte naturale di grande importanza strategica, costituita dalla collina sassosa, fu usata dai Sanniti come fortificazione e controllo della valle del Volturno. Attraverso la pianura, eventuali nemici potevano attaccare i centri posti sulle varie colline, in direzione di un’importante capitale qual’era Aufidena (Alfedena) e verso la mitica Sannia che doveva trovarsi nelle vicinanze delle sorgenti del Volturno (L’antico Olotrone). Secondo autorevoli storici, Roccaravindola viene identificata con l’antica Ratinara che insieme a Rotae (Monteroduni), costituiva la vera porta verso l’antico Sannio, attraverso la Valle del Volturno.L’importanza strategica per il controllo della valle, Roccaravindola non la perderà mai. Sarà , dopo il tramonto della civiltà sannita, nucleo abitativo romano in epoca imperiale, sorto per il controllo dell’Acquedotto di Augusto che portava le acque del Volturno , dalle sorgenti alla potente colonia di Venafro. Sarà insediamento normanno (IX –X sec. d. C.) e punto di sviluppo del monachesimo nella valle del Volturno (X- XIII secolo d. C.), sull’asse Montecassino – S.Vincenzo al Volturno, come dimostra la chiesetta benedettina di Piazza Palazzo Ducale, costruita intorno all’anno 1000 e intitolata a S. Michele Arcangelo, Santo già venerato dalla comunità locale fin dall’epoca della dominazione normanna. Durante l’ultimo conflitto mondiale, fu postazione d’osservazione, usata da Mussolini per controllare il movimento degli aerei americani. Il posto fisso di osservazione fu ubicato tra i ruderi del vecchio castello feudale. In realtà si tratta di una roccaforte, di una fortificazione militare e non già di un vero castello. Gli alleati poi, una volta conquistate le colline dei dintorni, vi insediarono anche loro diverse squadre di osservatori e trasmettitori. La chiamarono postazione “Balkon”, volendo significare proprio la caratteristica che aveva il Colle di Roccaravindola.
Nel corso della storia, dopo l'iniziale nome di Ratinara, Roccaravindola ha avuto diversi nomi. Nei testi di storia antica si trova Ravenula (entra nel toponimo la presenza del torrente che scorre ai piedi della collina), Roccaravenula, Roccaravinola ed infine si passa a Roccaravindola.Dopo la vittoria decisiva sui Sanniti, i Romani si insediarono nella valle del Volturno e la città principale divenne Venafro. L'antica Venafrum fu una colonia romana molto fiorente. Era rinomata per l'ottimo olio di oliva che produceva e i patrizi romani la sceglievano per le loro vacanze e per gustare la sana vita della campagna. Per le loro frequenti battute di caccia, i nobili romani si allontanavano anche sulle colline dei dintorni e i paesi posti su di esse, furono conservati per motivi di sicurezza e di controllo del territorio. Era caratteristica dei romani spostare i centri abitati lungo le strade che costruivano con vera maestria e verso i corsi d'acqua. L'antica Rotae si sviluppò verso il fiume, in contrada Camposacco (Campus saccus) e Paradiso, quasi alla confluenza della Vandra con il Volturno . Ratinara si sviluppò in pianura ai piedi della collina, anche per presidiare l'acquedotto che, come già detto, portava l'acqua dalle sorgenti del Volturno a Venafro. Frequentemente, i contadini di Roccaravindola, fino a pochi decenni fa, arando in località "Murella", poco al di sopra della ferrovia e oltre la strada del Consorzio di bonifica, portavano alla luce mattoni di terracotta. In quella zona doveva esservi una necropoli romana. Perciò presero a chiamare quel luogo "Murelle", cioè piccoli muri che affioravano arando. Altre necropoli e resti di antiche ville romane, sono stati rinvenuti ai confini tra Roccaravindola e S. Maria Oliveto, durante i lavori di scavo per gli insediamenti industriali della zona. Come accennato, i Romani costruirono un poderoso acquedotto, deviando le acque del Volturno mediante un apposito canale. Queste acque venivano portate a Venafro per irrigare i fertili terreni della zona e per servire le ville dei patrizi, che ormai possedevano numerose ville nella patria di Licinio.
Questo acquedotto è ben visibile lungo la collina di Roccaravindola e, in località Cavarena, si può ancora entrare nel cunicolo scavato nella roccia. La costruzione dell'acquedotto, come scrive il Perrella : " si fa risalire ai tempi di Augusto, ma in una lettera scritta da Cicerone circa trent'anni prima, cioè nel 699 di Roma, al frate suo Quinto, che militava con Cesare nella guerra di Inghilterra, si trova nominato il cuniculus di Venafro, il quale o si stava restaurando o era prossimo a completarsi."
I Normanni, come sappiamo, erano un popolo del Nord. Originari di Danimarca, Svezia e Norvegia, si diffusero in tutta Europa fin dall'VIII - IX secolo. Si resero terribili, specialmente in mare, sfidando con incredibile audacia i venti e le tempeste, per conquistare nuove terre, in cerca di nutrimento e ricchezze, loro negati dalla terra sterile e ghiacciata dalla quale provenivano. In Italia, intorno all'anno 1000, conquistarono e unificarono tutte le regioni meridionali. Intanto si erano latinizzati e convertiti al Cristianesimo. Popolo rude e guerriero, con lo sbarco in Puglia, sul Gargano, adottarono come loro santo, il Santo Guerriero San Michele Arcangelo. Quindi, abili conquistatori, presero l'abitudine di consacrare, ogni altura o postazione strategica, al Santo con la spada. Giunti nella valle del Volturno, i Normanni si insediarono sui colli di Roccaravindola e Monteroduni e quindi, subito li dedicarono a S. Michele Arcangelo. I roccaravindolesi, presi da tanto entusiasmo, iniziarono a venerare S. Michele che da allora è il Protettore del paese. La chiesetta di S. Michele, ora semidistrutta, fu costruita dai benedettini che, nella loro espansione e per motivi organizzativi, transitavano per Roccaravindola nei loro viaggi tra Montecassino e S. Vincenzo al Volturno. Questa chiesetta , fu valorizzata nei primi anni ottanta, dall'architetto Franco Valente che divulgò il valore degli affreschi che ancora presenta. Tra gli affreschi vi è la raffigurazione di uno zampognaro che si ritiene essere la più antica opera di tale genere ,di tutta Italia centrale.Esisteva in Roccaravindola, ai piedi della collina verso i confini con S. Maria Oliveto, anche un convento denominato "S. Barbato di Ravinola". Sono ancora visibili i ruderi della chiesetta a pianta rettangolare, terminante in abside. Questo convento fu offerto al Monastero di Montecassino intorno al 1100, insieme con il Romitorio di S. Nazaro, tra Roccapipirozzi e Ceppagna e con S. Pietro di Sesto (Sesto Campano) . (Gattola: "Ad historiam abatiae cassinensis accessiones"). L'attuale chiesa parrocchiale, dedicata al Santo Patrono, fu costruita nel 1760, in posizione originale e pittoresca, su uno sperone di roccia ed esposta a dominare l'intera valle del Volturno.Ritorniamo a parlare dei benedettini, perché per merito loro, soggiornò nella nostra zona, uno dei personaggi più famosi di tutti i tempi: Carlo Magno.L'abbazia di S. Vincenzo al Volturno prosperava sempre di più, cominciavano a sorgere lungo la valle del Volturno, villaggi e casolari. Sui colli un tempo dominati dai Sanniti, si costruivano paesi chiusi tra mura ricostruite e con due porte che dovevano assicurare la tranquillità notturna. Questi centri furono abitati da contadini che i monaci stessi, chiamavano dai luoghi vicini e ai quali insegnavano a coltivare i terreni resi fertili dalle acque del Volturno. Il Monastero fu visitato prima da Carlo Re di Francia nel 715, che trovandosi a Roma e sentendo le grandi cose che si narravano circa la vita dei monaci e la serena operosità delle popolazioni vicine alle abbazie, volle soggiornare presso il famoso convento. Il Re di Francia confermò le donazioni fatte già da Gisoldo, capo del Ducato di Benevento, anzi le aumentò. L'abbazia vide così aumentare le sue entrate, tanto da potere, nel 720, dare molto aiuto al Monastero di Montecassino, sia finanziario che di braccia. (Vedi: L'antico Sannio e l'attuale provincia di Molise- di A. Perrella - Bologna 1972 - ristampa-). Ma la visita più importante, l'Abbazia di S. Vincenzo al Volturno, la ricevette nel 775. Carlo Magno , dopo aver assediato e preso il castello Tulivernum (Triverno), prima di continuare per Benevento, volle andare personalmente a vedere il famoso luogo sacro. Vi andò con parte della sua numerosa corte e vi dimorò per tre giorni.Il resto del suo esercito era rimasto lungo le rive del Volturno, tra Triverno e Roccaravindola. E' rimasta famosa la scelta fatta da Auberto, Arcicancelliere di Carlo Magno, che, avendo osservato la vita del Monastero, volle seguire anch'egli insieme con altri della Corte, la vita del Convento, abbandonando l'esercito del grande Imperatore.L'abate Giovanni, nella storia dell'Abbazia, che è inserita fra le pubblicazioni del Muratori, narra l'immenso dolore provato da Carlo Magno nel doversi dividere dal suo maestro e consigliere. Alla fine Carlo Magno prese commiato da Auberto e dagli altri, e lasciò al Convento molti doni " di terre e di oggetti preziosi".Nel 1192 Roccaravindola fu assediata e presa dal Conte Bertoldo, generale dell'Imperatore Enrico. Dopo aver preso e semidistrutta Roccaravindola, il Conte Bertoldo passò all'attacco di Monteroduni. Qui mentre stringeva l'assedio intorno alle mura di Monteroduni, fu colpito in pieno torace da un sasso scagliato dai monterodunesi e morì. Allora i tedeschi scelsero come loro capo Corrado Von Lutzelinhart, detto Corrado Moscaincervello, Conte di Molise, il quale si vendicò abbattendo e bruciando numerose abitazioni sia di Monteroduni che di Roccaravindola.Queste guerre, nell'Italia meridionale, avvenivano sotto la dominazione degli Imperatori tedeschi. Ci piace riassumere brevemente ciò che successe in quel periodo, perché in questo quadro viene a determinarsi una grave devastazione, con incendi e saccheggi per Roccaravindola e dintorni.Tutto avveniva nel quadro della lotta tra l'Imperatore e Tancredi Conte di Lecce, per la successione, dopo la morte di Guglielmo II il Buono. Ruggero, Conte di Andria, non sopportando che fosse stato preferito Tancredi, s'oppose con molti della sua fazione e con un buon numero di armati, al Conte della Cerra, per impedirgli di occupare la Puglia. Nello stesso tempo scrisse ad Arrigo VI, in Germania, invitandolo a venire in Italia, per prendere possesso del regno a lui spettante. Dalla Puglia Tancredi entrò nel Molise. All'avvicinarsi di Tancredi e delle sue truppe, Ruggero, temendo una rappresaglia, andò a rinserrarsi in Venafro. L'incarico di snidare il ribelle fu dato al Conte Cerra, il quale di fatto pose l'assedio a Venafro, per cui Ruggero, non sentendosi al sicuro, riparò a S. Germano. Da qui intendeva salire a Montecassino, credendo di trovare scampo e protezione in quel monastero, considerato una roccaforte della fazione imperiale. A questo punto Ruggero Mandra abbandona la corrente imperiale e si dichiara per Tancredi. Si può supporre che lo abbia fatto per avere salva la vita o per essere lasciato a guidare la contea. Ma il gesto di Ruggero Mandra, se valse a salvarlo dalla vendetta dei Normanni, non gli rìsparmiò l'ira di Bertoldo che venne ad attaccarlo in casa sua, cioè nella contea di Molise. Anche questa volta, Ruggero si chiuse in Venafro, ma l'11 novembre 1193 ( c'è una discordanza di un anno) questa città fu presa, incendiata e saccheggiata dagli imperiali che ne fecero teatro di inaudite crudeltà. Il Mandra poté fuggire, "battendo sentieri alpestri e rinchiudendosi nella Rocca Magenula (Roccamandolfi). La stessa sorte di Venafro toccò a Sesto (Sesto Campano) e a Roccaravenula (Roccaravindola). Abbiamo fatto questa libera ricostruzione, prendendo le notizie dalla già citata opera di don Antonio Mattei.(Vol. I -pag. 174 e seguenti).
Sotto gli Svevi, Roccaravindola la troviamo inserita in un documento di investitura che porta la data del 15 febbraio 1268. Con tale investitura il giovane Corradino attribuisce al Conte Ubertino , insieme alle città di Venafro ed Isernia anche le terre di Rocca Gulglielma presso Esperia, nella zona di Formia, Rocca di Bastia ( Rocca d'Evandro ), Rocca Ratinara (Roccaravindola), Campo Sacco (In tenimento di Monteroduni). Corradino di Svevia intendeva premiare la fedeltà di Ubertino verso la casa Sveva, ma in realtà il Conte Ubertino non prese mai possesso di tali terre.Con l'avvento degli Angioini, Roccaravindola diviene feudo attribuito ad Andrea d'Isernia. In questo periodo Roccaravindola continuava ad essere un'entità territoriale indipendente e ben definita, confermandosi Universitas, pari amministrativamente al Comune nell'odierno ordinamento. Aveva un suo stemma ed è stata ritrovata una lettera, che il sindaco dell'epoca, tale Cimeo, scriveva al re Carlo II d'Angiò (1300 circa).Tale lettera era inserita in una ricerca, fatta presso l'archivio di Stato di Napoli nel 1970, dai cittadini roccaravindolesi: Perna Valentino, Lancini Giancarlo, Siravo Mario e Morelli Tonino. Roccaravindola nel XV secolo diviene feudo del conte Pandone, già signore di Venafro e Cerro al Volturno.A Montaquila invece si insedia la famiglia Montaquila. E' una famiglia che proviene da Gaeta, scesa in Italia dalla Normandia, al tempo della conquista normanna. Giacomo Montaquila venne eletto Vescovo di Isernia nel 1417 sotto Papa Martino V, resse la Diocesi di Isernia per 51 anni. Morì nel 1469.Nel 1464 re Ferdinando I incarica il capitano della città di Isernia di riporre Troiano di Montaquila nel possesso del castello di Montaquilo, distrutto e incendiato dal ribelle Onorato Gaetani di Sermoneta. Gli abitanti di Montaquila si erano rifugiati a Roccaravindola e Monteroduni e furono minacciati di gravi pene perché ritornassero a Montaquila. Nel XVI secolo troviamo Roccaravindola feudo dei Sannazzaro ed infine dei Caracciolo.Intorno al 1700,troviamo Montaquila e Roccaravindola sotto il dominio della famiglia Pagano. Dove sia avvenuta la perdita di identità socio-politico-amministrativa del nostro paese forse nessuno lo saprà mai. E forse non esiste alcun decreto o disposizione ammistrativa che stabilì quello che nel cuore di ogni roccaravindolese, viene considerato un autentico misfatto della storia. Nondimeno, nel secolo successivo comincia per Roccaravindola una sorta di recupero sul piano economico. La felice posizione e la realizzazione di alcune grandi opere, gettano le basi per quello che sarà il poderoso sviluppo di Roccaravindola XX secolo.
Si comincia con la costruzione del ponte 25 Archi, avvenuta intorno al 1810 per espresso ordine di Gioacchino Murat, cognato di Napoleone e Re di Napoli. Quando visitò il Molise, Gioacchino Murat, trovò che il Volturno si attraversava con una "scafa", piattaforma tirata con delle corde da alcuni addetti. Il "Ponte Latrone", ormai era definitivamente crollato. Tornato a Napoli, immediatamente decretò la costruzione di quello che ancora oggi è una dei più bei ponti che congiungono le due sponde dell'antico Olotrone e che su tutte le carte stradali è denominato "25 ARCHI".
Anche durante la spedizione dei Piemontesi contro Borbonici , che doveva portare all'incontro di Teano tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi nel 1860 e alla tanto sospirata unità nazionale, la valle del Volturno fu teatro di importanti operazioni militari. Gli scontri tra i Borbonici e i Piemontesi, agli ordini del generale Cialdini, si ebbero sul Macerone e da qui, i Piemontesi posero un distaccamento, agli ordini del gen. Griffini, a ridosso del Ponte 25 Archi, che era un punto da tenere sotto controllo, perché apriva le porte all'avanzata verso la Campania.
Ma il lavoro più esaltante, i Roccaravindolesi, lo compirono partecipando alla costruzione della ferrovia. Essa fu realizzata, per il tratto Roccaravindola-Isernia intorno al 1890. Mentre il tronco Caianello- Venafro era stato inaugurato già nel 1886. In realtà il tratto già in funzione nel 1886, arrivava a Roccaravindola , che veniva così a diventare la stazione più importante, in quanto ad essa faceva capo tutta la popolazione dell'alta valle del Volturno. Non poche polemiche ci furono, ed anche qualche disordine, quando si trattò di porre il nome sulle facciate dell'edificio della stazione. I roccaravindolesi non volevano nel modo più assoluto che la stazione non portasse il nome del loro Paese. Alla fine le autorità certificarono il diritto dei roccaravindolesi a sentirsi una entità socio-comunitaria ben definita, e posero solo ROCCARAVINDOLA come nome dello scalo ferroviario.
I lavori per la realizzazione del tronco Roccaravindola - Isernia, furono affidati all'impresa dell'ing. Tiezzi. Non potendo fare un unico viadotto, da Via Taverna ,S.S. 158 alla riva del Volturno ( Ponte di ferro), fu necessario realizzare un imponente terrapieno lungo più di un chilometro. Allora tutti i roccaravindolesi si mobilitarono e si diedero a trasportare terra e pietrisco, da alcune cave realizzate lungo la strada. Non c'erano ovviamente le macchine operatrici di oggi, e in questi lavori si impegnarono sia gli uomini che i bambini e le donne, alcune anche in gravidanza. Non avevano neanche le carriole, come gli scariolanti che all'epoca erano usati per eseguire i lavori di rinforzo degli argini del PO. Trasportavano terra e pietre in recipienti improvvisati, in cesti (cuòf'n) e nelle caratteristiche cardarelle (contenitori di ferro con due manici, usati generalmente in edilizia). Taluni, a coppie, usavano una specie di lettiga fatta con due stanghe di legno, che si portava come una barella. Anche il misero salario guadagnato con tale duro lavoro serviva, in quelle condizioni disastrate ed alimentava l'ansia di progredire e di migliorare le proprie condizioni economiche, che è una costante fissa del carattere dei roccaravindolesi. L'opera una volta terminata ,fu ricoperta ai lati da una piantagione di Acacie, piante bellissime, profumate e dalle poderosissime radici, adatte a trattenere il terreno e ad evitare smottamenti. Ancora oggi può essere un modello di opera realizzata nel pieno rispetto del contesto ambientale nel quale veniva inserita.
Nei primi decenni del 1900, cominciò lo sviluppo di Roccaravindola nella parte bassa, che si estende ai piedi della collina, sulle sponde del torrente. Molti giovani emigrarono, specialmente negli Stati Uniti. Con le rimesse di denaro, guadagnato col duro lavoro dell'emigrante, furono comprati molti appezzamenti di terreno che appartenevano a grossi proprietari terrieri e a signorotti locali. Le masserie che già esistevano tra i campi, si trasformarono in gustose casette. Le più antiche ancora fanno bella mostra di meravigliosi portali in pietra lavorata. Contemporaneamente, gli abitanti di Roccaravindola cominciano a risentire del danno loro arrecato dal fatto di non avere identità amministrativa. Un esempio molto significativo è dato dalla vicenda narrata da Antonio Spinosa. E' un articolo scritto in modo gustoso, con lo stile del grande scrittore, ma può ancora far riflettere sulle umiliazioni, che a volte dovevano subire i roccaravindolesi.
Un grande scrittore parla del nostro passato
V
I V A L U C I F E R O
Il
folle imprenditore di Roccaravindola
Roccaravindola:
una roccia sull'alto di un monte, più che un paese. Lassù si usavano ancora
le candele e i lumi a petrolio. Chi vi avrebbe mai portato la luce? Quella
luce elettrica che illuminava le cittadine dei dintorni, come Venafro o come
Isernia. La grande impresa di elettricità del Mezzogiorno non aveva alcuna
attenzione per quel pugno di case raggrumate su un impervio cocuzzolo. E
allora ci voleva un pazzo, un piccolo imprenditore folle a compiere l'opera.
L'imprenditore fu trovato. Con tre o quattro operai non meno pazzi e folli di
lui cominciò a piantar pali dalla piana del Volturno e a risalire il colle.
Ai pali seguì un pesante trasformatore che fu portato lassù a braccia,
tirato con le corde e facendolo scorrere su tronchi d'albero. Tutti a
guardare, ammirati e stupiti, i contadini roccaravindolesi, i ragazzi e le
ragazze. I pali furono uniti ad altri pali da grandi campate di fili.
Mancavano pochi giorni all'arrivo della luce. I contadini, sebbene eccitati
dall'avvicinarsi dell'evento, si tenevano stretti i loro lumi a petrolio e
ancora si rifornivano di candele poiché si andava verso il buio dell'inverno.
Sentivano parlare di isolatori, di interruttori, ma pochi si predisponevano ad
accogliere nelle loro case gli impianti elettrici che avrebbero portato la
luce dalla piccola cabina costruita su una balza fin sul loro desco
davanti al camino dove bollivano pentoloni con la polenta. Lungo le viuzze del
paese era già tutto pronto, compresi i pali con le lampadine. Quei tre o
quattro operai lavoravano con tanta passione sotto la guida dell'imprenditore
folle, da apparire un esercito. Ognuno di loro si trovava contemporaneamente
in più luoghi. I contadini di Roccaravindola li incontravano dovunque con le
scale sulle spalle e con grandi cerchi di fili elettrici infilati in entrambe
le braccia. Era pronta anche la minuscola piazza del paese, da dove
sarebbe partito l'impulso per illuminare all'imbrunire, in un solo attimo,
tutte insieme, come in un miracolo, tutte le vie del paese che per secoli,
caduta la sera, rimanevano prigioniere di un buio pesto. Quella sera invece
bastò che l'imprenditore folle toccasse qualcosa perché Roccaravindola fosse
illuminata in un attimo a giorno. Scoppiarono grida di gioia e applausi. Sui
muri si lessero manifesti con la scritta: "Viva Lucifero". Quei
contadini avevano capito chi fosse realmente quell'imprenditore folle che si
era tanto agitato fra di loro nelle ultime settimane.
Antonio
Spinosa (1)
Tratto
da: "POLIS" Idee e cultura nelle città
"ISERNIA e la PROVINCIA" - Anno III - n°13
Antonio Spinosa è un noto storico, giornalista e scrittore. E' nato a Ceprano (FR) nel 1923. Il padre faceva l'imprenditore e verso il 1930 venne nel Molise a realizzare numerose opere (elettrodotti, mulini ed altre opere pubbliche e private). Lui giovanetto, seguiva il padre ed è vissuto nella nostra zona. Il fatto da lui ricordato con l'articolo che abbiamo riportato, si riferisce a quanto avvenne nel 1932. Lavorarono per portare la luce all'abitato di Roccaravindola alta i seguenti operai: Castaldi Felice (nato nel 1904), Perna Giovanni (1900), Tartaglione Marciano (1911), Castaldi Nicola (1904) e Zarli Rocco.
Negli anni appena dopo l'ultimo conflitto, inizia il vero sviluppo di Roccaravindola. Le contrade S. Lucia, Starze, Trimanda, Stazione e Taverna diventano vari piccoli paesi; infatti hanno singolarmente una consistenza pari a diversi comuni della Provincia di Isernia. La strada provinciale per Roccaravindola Alta, arrivò molto tardi. Fu costruita verso il 1958 dall'impresa Rozzi, del popolare e indimenticato presidente dell'Ascoli calcio. Fosse stata costruita prima, molti roccaravindolesi sarebbero rimasti a vivere sulla loro collina, ricca di millenni di storia.
Intorno al 1960 fu costruita la Chiesa dedicata a Maria Santissima Ausiliatrice, in Via Taverna. La storia cominciò con una lettera dell'allora Parroco di Roccaravindola , Don Vincenzo D'Agostino al Vescovo, con la quale si segnalava la necessità di una nuova chiesa, vista la notevole espansione del centro di Roccaravindola bassa. Monsignor Giovanni Lucato , prese molto a cuore la vicenda e per sua volontà, fu incaricato di redarre il progetto, l'architetto Coppola. Sempre per volontà del Vescovo Monsignor Lucato la chiesa fu intitolata a Maria Santissima Ausiliatrice.
La Madonna, sotto questo nome è molto venerata dai Salesiani e monsignor Lucato proveniva dall'ordine dei Salesiani. Il Vescovo Lucato morì nel 1962, senza vedere ultimata l'opera a cui tanto teneva. Prima, le funzioni religiose si svolgevano in una cappella, che da sempre esisteva nell'edificio della Vecchia Taverna e dedicata all'Immacolata Concezione . Nel 1948 venne istituita la Festa della Taverna dedicata alla Madonna. L'allora Sindaco Avv. D'Eboli mise uno striscione sulla via Nazionale, con l'indicazione: "QUI E' FIERA". La festa si svolgeva sempre in due giorni: il 27 luglio era fiera di animali, attrezzi per il lavoro dei campi e merce varia. Il 28 luglio si svolgevano i solenni festeggiamenti in onore della Madonna.
Nel 1870 viene completata la strada nazionale che da Roccaravindola, portava e porta verso l'Abruzzo. All'epoca questa strada si chiamava " Strada della Ravindola", nome preso dal nostro torrente, come oggi la Statale 627, che da Isernia porta ad Atina si chiama "della Vandra". La costruzione della strada richiese anche mano d'opera locale, e ai contadini roccaravindolesi, non parve vero poter guadagnare quelle poche lire, facendo un lavoro diverso da quello durissimo della coltivazione dei campi, fatta ancora con metodi primordiali. Con la realizzazione della nuova strada. Roccaravindola divenne un importante nodo stradale. Al bivio delle due strade, per gli Abruzzi (attuale S.S. 158) e per Isernia - Campobasso - Benevento ( 185 Venafrana), sorse una Taverna tanto attiva quanto utile. Le Taverne, a quei tempi assolvevano un compito che è paragonabile a quello dei moderni motèls, lungo le autostrade. I viandanti potevano mangiare, pernottare, affidare i cavalli ad uno stalliere ed aver tutta l'assistenza che necessitava a persone che viaggiavano per diversi giorni, tra i monti e le colline delle nostre regioni.
in basso particolari dei ruderi della chiesa benedettina di Piazza Palazzo Ducale, intitolata a S. Michele Arcangelo. Tale chiesa, costruita dai benedettini, è rimasta aperta al culto fino a due secoli fa. Contemporaneamente era stata costruita, nel 1770 la nuova chiesa parrocchiale. La chiesa del Palazzo era sorta sicuramente su un tempio pagano preesistente, come dimostra la pietra, di origine romana, incastonata sul lato sinistro del portale principale.